Qualità, materie prime e cura dei dettagli sono soltanto alcuni dei fattori che fanno la differenza tra i ristoranti giapponesi originali e quelli fake
La
diffusione di ristoranti che
promettono vagonate di piatti
giapponesi a
prezzi stracciati è davvero impressionante. La gastronomia del Sol
Levante sembra infatti aver conquistato il palato degli italiani ma
molto spesso dietro a questi innumerevoli locali che promettono
abbuffate di sushi,
a costi relativamente contenuti, si nascondono molteplici insidie che
potrebbero persino mettere a repentaglio la vita dei clienti.
A
tal
proposito proponiamo di seguito alcuni spunti su cui varrebbe la pena
riflettere.
Rapporto qualità prezzo
Non sempre la spesa corrisponde con la resa. Questi due fattori viaggiano infatti spesso su binari intangibili che soprattutto a tavola difficilmente si tangono. Il rapporto qualità prezzo è infatti un insieme di dinamiche e varianti complesse che se possono creare perplessità negli addetti ai lavori, disorientano letteralmente i consumatori medi, anche i più smaliziati, quelli dalla forchetta, o meglio dalla bacchetta navigata.
Alzino la mano quelli che al ristorante, dopo essersi visti presentare un conto salato, si sono ritrovati a dire: “Ma questi sono pazzi”. Più raramente alcuni, di fronte ad un conto modesto, a chiusura di un vetusto banchetto avranno commentato compiaciuti:“Ma non abbiamo speso davvero un c….”.
Iperboli metonimiche a parte, sono tanti i fattori che influiscono sul prezzo finale di un ristorante, la location ad esempio ha senz’altro il suo peso e i locali alla moda – attenzione alla mania del fusion – tendono ai rincari sfruttando il flusso delle masse, l’atmosfera à la page e magari la presenza del vip di turno. Per converso i locali più sfortunati, a livello di posizionamento s’intende, non badano troppo alla cornice e tendono soprattutto a snellire i conti dei clienti, puntando su una cucina sostanziosa e di qualità (fortunato l’affamato che incontra quella bettola dove si mangia bene e si spende poco).
Materia prima
Il
costo della materia prima è un elemento che viene troppo spesso
sottovalutato.
Chiunque abbia anche per una sola volta varcato la
soglia di una comune pescheria e non sputi soldi dalla bocca,
piuttosto che da qualche altro meno nobile orifizio, sa che la merce
in vendita non si trova decisamente a buon mercato e, pur non avendo
un’estesa conoscenza del panorama ittico, arriverà facilmente a
comprendere – in termini di costi – la differenza tra 1kg di scampi e
1kg di petto di pollo.
Il pesce costa caro e naturalmente ciò si
riflette sui conti di quei ristoranti, seri e competenti, che
propongono specialità di mare.
Non si può infatti certo
pretendere di pagare una barca di sashimi o anche più semplicemente
un piatto di fettuccine all’astice come una pizza margherita o come
un quarto di pollo allo spiedo con patate, se ciò accade sarebbe
d’obbligo porsi più di qualche interrogativo.
Se quell’abbuffata
di pesce in stile giapponese all’all
you can eat vi è invece piaciuta e siete soddisfatti di aver preservato il
peso specifico del vostro portafogli, sappiate che quei pochi euro
risparmiati potrebbero costarvi caro.

Ignavia e scarsa conoscenza del prodotto
Quando si parla di mangiare tutti vogliono dire la loro ma in verità sono pochi quelli che ci capiscono davvero qualcosa.
Nonostante sushi e sashimi siano ormai “nella” bocca di tutti, tra gli amanti dei gusti del Sol Levante quelli che approfondiscono realmente la materia sono davvero pochi.
L’identikit del facilone della bacchetta è semplice da tracciare. La sua ignoranza della cucina nipponica lo porterà all’all you can eat perché fa fico, ci vanno un po’ tutti e non conosce le infinite sfumature che distinguono un giapponese original da uno fake. Solitamente questi soggetti amano inanellare liste ciclopiche di ordini di cui faticano a pronunciare i nomi, assillando di continuo il cameriere per un refill di maki che generalmente chiamano rotolini neri. Costui ama bullarsi con i commensali della sua insaziabile voracità ma, prima del conto, arriva a nascondere gli avanzi che non è stato capace di finire persino nei risvoltini dei pantaloni pur di evitare maggiorazioni di prezzo.
Non è un mangione ma fa finta di esserlo, si potrebbe permettere tranquillamente un ristorante giapponese – perdonate il francesismo – con i controcazzi, ma preferisce risparmiare qualche spicciolo per un cocktail annacquato a fine serata che sorseggerà contento pur avendolo pagato dieci volte il valore reale, ripetendo un po’ ovunque più o meno in loop, gli stessi errori che lo portano ogni fine settimana all’all you can eat. In sostanza questo soggetto è un eterno inconsapevole, un ignavo… La conoscenza e lo studio fanno la differenza. A

Consapevolezza salva vita
Diversi ristoranti giapponesi all you can eat, in passato e anche più recentemente, sono stati chiusi dai NAS per gravi inadenpienze igieniche, adulterazione degli alimenti e altre amenità affini.
Purtroppo i clienti intossicati si contano a decine, non solo Italia ma anche in Europa.
Le soluzioni a risparmio o influenzate dalle mode (alcuni di questi ristoranti sono infatti riusciti a coprirsi di una certa aura trendy), potrebbero rovinarvi la salute e in alcuni casi condurvi persino alla morte, senza nemmeno aver provato il brivido dell’assaggio di pesce palla, magari per colpa di un semplice trancio di salmone mal conservato.
Il pesce è un alimento che ha bisogno di speciali cure, la catena del freddo deve essere rispettata e deve essere sempre maneggiato da professionisti, il parassita che vuole occupare il vostro intestino è pronto a darvi il ben servito. Attenzione dunque – ripetita iuvant – a quei ristoranti pseudo giapponesi (ma anche italiani), che propongono menu di pesce a prezzo stracciato.
I rischi dei fake tra etica e logica, viva l’autenticità!
Esiste poi anche un lato etico della vicenda perché a volte purtoppo, dietro al ribasso dei prezzi, si nascondono una serie di meccanismi oscuri che vanno dalla pesca di frodo, al mancato pagamento delle tasse passando per lo sfruttamento dei dipendenti.
Logica ed etica vanno sovente a braccetto e il ragionamento in questo caso dovrebbe convincere a scegliere l’originale.
Mi spiego meglio, entrando ad esempio in un ristorante cinese, oltre che pensare istantaneamente a Venticello e a Chin Chun Chao (full immersion adolescenziali di film trash hanno segnato irreparabilmente il mio modo d’interfacciarmi con la realtà), mi aspetto che tutti, o almeno parte dello staff, siano originari del Paese del dragone. Quando opto per l’etnico quello che esigo è l’autenticità. Non chiedo che in cucina i lavapiatti parlino mandarino, anche perché probabilmente fischiano bengalese, ma spero che almeno il cuoco sia originario della Cina o che quantomeno abbia avuto modo di assorbire dai suoi familiari quell’infarinatura culturale che tra i fornelli può davvero fare la differenza. Cinese, indiano, giapponese poco importa, nello spazio del convivio le mie papille gustative bramano genuinità.
Cura dei dettagli
Inchini e arigatou vari fanno parte di quel corollario di dettagli che rendono ancor più originale l’approccio con l’autentica cucina giapponese. Chi ha avuto modo di frequentare il Giappone sa che l’ospitalità è un marchio di fabbrica nipponico e ciò si rispecchia positivamente anche al ristorante. L’originalità vale qualche euro in più, e anche la cornice e il personale con il quale ci interfecciamo fanno la loro parte al di là dell’incanto organalettico capace di proiettare nell’arcipelago mente, lingua, gola e stomaco.
Giocando invece al ribasso, nella migliore delle ipotesi l’unica parte che realmente si muoverà, o meglio si smuoverà, sarà quella meno nobile dell’apparato digerente.
Ciò detto non è necessariamente scontato che un ristorante gestito da gaijin (gli stranieri in giapponese) debba per forza offrire un’esperienza culinaria insoddisfacente, tuttavia per cultura il sottoscritto è portato a diffidare dalle imitazione e preferisce affidarsi all’originale made in Japan. Ogni ristorante in terra straniera è del resto in fondo una piccola ambasciata del Paese che rappresenta. Se da italiani entraste in un locale dall’altra parte del globo e nel corso della cena vi accorgereste che tutto lo staff è germanofono non vi sentireste un po’ smarriti? Ve la sentireste di ordinare una carbonara allo chef tedesco?