Quante volte vi è capitato di commettere un errore? O di dimenticarvi di una promessa? A Tokyo esiste una soluzione al problema e si chiama seppuku monaka, un dolce che simboleggia l’atto dell’harakiri, conosciuto anche come seppuku, il suicidio rituale giapponese che i samurai praticavano dopo un fallimento o una grave mancanza disonorevole.

Lo ha ideato il proprietario di un negozio di wagashi nel centro di Tokyo, distante pochi passi dal monumento dedicato ad Asano Naganori, il daimyō protagonista della suggestiva vicenda dell’harakiri dei 47 rōnin.



Ci troviamo a Shinbashi, nella parte sud del cuore di Tokyo, una delle zone più frequentate dai salaryman giapponesi.

Tra il via-vai mattutino verso gli uffici, e quello serale tra un locale e l’altro, sorgono sui lati delle strade svariati negozietti tradizionali, di origini risalenti a più di un secolo fà, che offrono deliziose specialità giapponesi.

Ed in uno dei numerosi incroci della zona si innalza un piccolo monumento dedicato alla figura di Asano Naganori, un daimyō che fece seppuku nel 1701, in ricordo del luogo in cui gli fu ordinato di commetterlo.

La storia dei 47 ronin

La figura del samurai è uno degli elementi più iconici della cultura e della storia giapponese. La vicenda del suicidio cerimoniale dei 47 ronin è sicuramente quello che ne simbolizza maggiormente la fedeltà ed il valore.

Asano Naganori, il signore feudale condannato a morte per un gesto violento.

Asano Naganori fu un daimyō del primo secolo del periodo Edo, signore del feudo di Ako.
Nel 1701 gli fu assegnato il compito di ricevere e organizzare la cerimonia in vista dell’arrivo ad Edo di alcuni rappresentanti imperiali da Kyoto. Kira Yoshitaka, un maestro cerimoniale, venne quindi incaricato di istruire Asano Naganori sulle procedure da rispettare per l’occasione.
Qualche mese dopo, in un corridoio del castello di Edo, Asano attaccò improvvisamente Kira Yoshitaka tentando di ucciderlo, fallendo e riuscendo solamente a ferirlo.
Questa azione violenta, compiuta in un luogo dove sfoderare le armi era assolutamente vietato, portò Asano ad essere condannato a commettere seppuku il giorno stesso.

Le ragioni dell’attacco sono tutt’altro che chiare.
Una versione racconta che Kira Yoshitaka avesse chiesto ad Asano un compenso non dovuto per il suo lavoro di istruzione. Vedendoselo rifiutare, Kira portò rancore e lo offese pubblicamente nel castello dandogli dell’ignorante e del buzzurro.
Un’altra versione racconta che Asano aveva effettivamente un carattere iracondo, era un violento che aveva più di una volta sfogato la sua rabbia su altre vittime, e che il suo attacco fu conseguente ad una veritiera affermazione sull’effettiva assenza di voglia di Asano di imparare i protocolli cerimoniali.

La vendetta dei suoi seguaci più fedeli.

La condanna a commettere seppuku impartita ad Asano venne molto criticata e considerata un’onta verso il suo onore. Ai tempi vi era una legge che condannava entrambe le persone coinvolte in un eventuale litigio violento, e nonostante questo Kira Yoshitaka non subì nessuna punizione. La decisione venne inoltre presa il giorno stesso senza un appropriato approfondimento della vicenda, ed il luogo dove Asano fu condannato a suicidarsi, un giardino esterno, non venne considerato consono per un uomo del suo calibro e posizione.

Con la sua morte il suo regno venne dismesso e con lui la sua corte di samurai che divennero ronin, ossia senza padrone. Una condizione molto disonorevole.

47 dei suoi seguaci più fedeli, assetati di vendetta per l’ingiustizia subita dal loro daimyō, trascorsero due anni di attesa svolgendo altre mansioni. Nel 1703 si organizzarono ed assalirono la proprietà di Kira Yoshitaka, uccidendolo e portando la sua testa sulla tomba del loro padrone. Poi si consegnarono alle autorità e furono condannati anche loro a commettere seppuku per la loro illegale azione vendicativa.

tomba di asano naganori al tempio sengakuji
La tomba di Asano Naganori al Tempio Sengakuji

Le tombe dei 47 ronin nel tempio Sengakuji

La tombe di Asano e dei suoi seguaci si trovano tutt’oggi nel tempio Sengakuji a Tokyo.

In giapponese vengono chiamati Ako Gishi, ossia i fedeli samurai di Ako (il nome del feudo).

Precisamente i condannati all’harakiri sono stati 46, dal momento che uno dei ronin, Terasaka Kichiemon, ricevette l’ordine dal leader Oishi di andare a riportare l’esito dell’attacco e quindi non ricevette la sentenza. La sua tomba non è presente in questo tempio, ma è stato costruito un memoriale analogo accanto ai suoi ex compagni.

Anche il samurai Kayano Sanpei ha un memoriale accanto ai 47 ronin: fu come gli altri un seguace fedele di Asano Naganori, ma vista la forte opposizione della famiglia riguardo alla sua partecipazione nell’attacco vendicativo, decise di commettere seppuku singolarmente prima della vicenda.

di jpellgen

L’idea dell’inventore del dolce seppuku monaka

E proprio a pochi passi del monumento dedicato ad Asano Naganori è situato Shinshodo, un antico negozio di wagashi.

Il proprietario, circa 25 anni fa, decise inventare un dolce che potesse collegarsi in qualche modo alla figura di Asano Naganori, e quindi al seppuku.

Si basò sul classico wagashi monaka, tradizionalmente formato da un rivestimento di consistenza simile al wafer con un ripieno di anko.
L’originalità sta nella forma, che nonostante sia molto simile a quella classica, ricorda proprio, in maniera sicuramente macabra, l’atto del taglio del ventre.

L’idea, nella quale non venne nemmeno investito molto, non ebbe per niente successo, come è quasi ovvio che sia.
Un giorno però casualmente, quasi per scherzo, il proprietario consigliò questo dolce ad un cliente che cercava un regalo per esprimere delle scuse. Le scuse vennero accettate e la storia raggiunse un passaparola di dimensioni tali che un giornale intervistò l’ideatore del seppuku monaka.

Seppuku monaka
da Wikipedia

Come accade molto spesso in Giappone, quando un locale raggiunge i media viene subito travolto da una valanga di successo, e così è stato per Shinshodo.

Oggi vende centinaia di seppuku monaka ogni giorno, probabilmente la maggior parte come regalo per farsi perdonare per qualcosa.

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