Spesso a Tokyo capita di perdere l’ultimo treno. 
La soluzione è tornare in taxi ed alleggerire il portafoglio, dormire in qualche posto economico oppure, se ci si sente in vena di festa, tirare fino alle 5 girando per i posti rimasti aperti. Noi, quella sera, ci sentivamo in vena.

Siamo a Sancha, un quartierino a pochi minuti da Shibuya. E’ giovanile ed intorno alla stazione si incrociano varie viette di localini/bar/ristoranti aperti fino a tardi. 

Ci beviamo un paio di whisky giapponesi con soda. Conversiamo con gli avventori della notte tra cui un ragazzetto abbastanza brillo che appena scopre che siamo italiani ci chiede come si fa a rimorchiare. Poi ci racconta le sue delusioni amorose. Aveva un amico che se ne restava zitto tutto il tempo e che indossava solamente vestiti stile rapper con sopra i loghi delle squadre NBA. “Ti piace il basket?” chiediamo. Lui risponde “No, non ne so niente, mi piacciono solo i simboli”. Chi li capirà mai i giapponesi.

Ci viene fame. E, durante la notte, il migliore amico dell’uomo è il Ramen. Usciamo in strada e sondiamo un po’ le varie insegne. Non troviamo molto. Nemmeno su google esce molta roba, tranne qualche posto con recensioni troppo basse per essere ignorate.

Torniamo dentro. “Ma un ramen buono qui vicino?”. “Non c’è molto. Sancha ha molti posti buoni ma di ramen ce ne stanno proprio pochi”.
Che colpo al cuore. 
Stavamo per darci al whisky liscio per dimenticare, poi improvvisamente un tipetto in giacca e cravatta ci dice: “Provate da Satou. Ramen Satou. Fa quello stile Yokohama”.
Apriti cielo. Il ramen di Yokohama è il nostro preferito. In un batti baleno usciamo dal localetto e siamo davanti a questo Ramen Satou.

Non c’è nessuno dentro. Nessuno. Il posto è carino e semplice, bancone di legno e qualche tavolino. Salutiamo e scegliamo quello tradizionale. Però chiediamo i noodles cotti al dente.
Il ramen di Yokohama ha un brodo a base di ossa di maiale condito con salsa di soia, i noodles sono spessi, non manca mai una verdura tipo spinaci.

Chi ci serve è un giapponese con i capelli lunghi raccolti, magrolino, un po’ timido. Noi, appassionati, lo bombardiamo di domande e di chiacchiere. Ci dà retta però si vede che si sente un po’ a disagio. Poi si scioglie. 
Arriva il Ramen.

Aspetto classico, un po’ tirato lì. Lo assaggiamo ed è una goduria. Brodo caldo al punto giusto, i noodles consistenti, sapore intenso e aggressivo. Alla grande.
Il giapponese con cui abbiamo parlato ci rivela che il brodo lo fanno in casa ed è per questo che ha un sapore così incisivo e fedele alla tradizione.
Esistono infatti locali dove il brodo lo prendono già fatto, oppure se sono catene non lo fanno comunque li sul posto.
Ma “fatto in casa” non sempre vuol dire più buono. In questo caso, però, voleva dirlo.

Facciamo i complimenti e ce ne andiamo. A pancia piena ci viene il cosidetto “abbiocco”. Dopo un paio d’ore da randagi inizia a farsi vedere l’alba e ci dirigiamo in stazione, stanchi ed assonnati ma sazi. Primo treno, a casa, buonanotte.


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